giovedì 26 aprile 2007

Movimenti

Numero di Aprile


Dichiarazione di voto di Luciano Uras sulla finanziaria 2007;

Per il rilancio del movimento contro le servitù militari (pag. 2);

Le contraddizioni cagliaritane (pag. 3);

Teulada: ricordando l'arrivo dei militari (pag. 4);

La finanziaria 2007 riduce il consumo energetico (pag. 5);

La legge d'iniziativa popolare sulla sovranità alimentare (pag. 6);

Riflessioni sui DICO (pag. 6);

VI Congresso regionale dei DS (pag. 7);

Basta Carceri! Riflessioni su amnistia e indulto (pag. 8)
Movimenti
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Giornale d’informazione alternativa

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La Carovana Sarda della Pace
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Stampato in proprio
Registrazione tribunale di Cagliari
N. 13/05 del 08.04.05

Movimenti, Attualità, Aprile 2007, pag. 1


Dichiarazione di voto di Luciano Uras sul progetto di legge " Finanziaria 2007".


Il giudizio positivo tiene conto degli impegni assunti dalla Giunta, nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione, di precisare e migliorare i contenuti in alcune parti di particolare rilievo (politiche del lavoro e sociali, politiche per la salute, politiche per l'istruzione e la formazione, riorganizzazione funzionale dell'amministrazione regionale e locale), con specifici emendamenti da predisporre d'intesa o a cura della maggioranza consiliare.
Il giudizio positivo è motivato, inoltre, in relazione:1. alla entità della manovra finanziaria(pari a circa 8,5 miliardi di euro) resa possibile dalla nuova regolamentazione del sistema delle entrate regionali, definita "dalla Finanziaria nazionale 2007" con la modifica dell'articolo 8 dello Statuto Speciale (Legge costituzionale n.3/1948), conseguente alla vertenza aperta con lo Stato (condotta con determinazione dal Presidente e dalla Giunta, dal Consiglio regionale, dalle Autonomie locali e dalle Parti sociali), finalizzata
al recupero dei trasferimenti finanziari dovuti dallo stesso Stato e non effettuati. Condivido, pertanto, i contenuti innovativi presenti nell'articolato relativi all'attivazione delle anticipazioni di spesa e alla riduzione del disavanzo, nonché al sistema impositivo integrativo regionale e locale finalizzato al riequilibrio territoriale e alla più equa redistribuzione del reddito;2. agli interventi in favore del sistema delle autonomie locali, con la istituzione del fondo unico dei trasferimenti finanziari regionali a favore degli enti locali che consente, agli stessi enti, una più ampia possibilità di manovra della propria spesa, oltre ad avere una maggiore disponibilità finanziaria dovuta al notevole incremento delle risorse regionali stanziate (complessivi 500 milioni di euro);3. alla misura definita nell'articolo "32 bis" (predisposto a cura della maggioranza della Commissione consiliare), finalizzato alla realizzazione di un adeguato sistema di interventi finalizzati all'occupazione stabile, al superamento del precariato, alle politiche del lavoro e ad azioni di contrasto della povertà. La misura ritenuta assolutamente necessaria, è costituita anche da risorse finanziarie non spese (115 milioni di euro, pressoché interamente provenienti da fondi comunitari in capo all'Assessorato del Lavoro, e da ulteriori stanziamenti regionali per ulteriori 55 milioni di euro), e dovrà essere oggetto di nuova formulazione avuto riguardo alla articolazione delle singole azioni, ai migliori percorsi procedurali e la qualificazione più puntuale delle responsabilità di spesa.




Luciano Uras
(capogruppo PRCin Consiglio Regionale

Movimenti, Attualità, Aprile 2007, pag. 2



Per il rilancio del movimento contro le Servitù Militari

Dopo la seconda guerra mondiale, in seguito agli accordi di Yalta, le Potenze alleate ( USA, URSS, Gran Bretagna ) si erano spartite il mondo. Il nostro paese fu assegnato al controllo occidentale e a causa della nostra posizione strategica ( terra di confine con il mondo comunista ) ne derivò la presenza, in funzione difensiva, dei vari insediamenti militari della NATO e degli USA.
Di conseguenza, negli anni 50, la NATO e gli USA hanno adibito la nostra isola a grande area strategica di servizi bellici:
esercitazioni, addestramento, sperimentazioni di nuovi sistemi d’arma, guerre simulate, depositi di carburante, armi e munizioni, rete di spionaggio e telecomunicazioni.
Rispetto agli anni 50 la Sardegna, oggi, assume un duplice ruolo: il primo è quello di essere sostanzialmente una scuola di guerra mentre il secondo è quello di essere un punto strategico per il controllo dell’intera area mediterranea.
Sulla nostra isola gravano il 66% delle istallazioni militari italiane-NATO.
L’ampiezza dei territori e degli spazi aerei e marittimi asserviti all’utilizzo militare non è paragonabile a nessuna altra regione d’Italia. Basta pensare che il solo tratto di mare annesso al poligono di Quirra supera in estensione la superficie dell’intero territorio isolano.
In questa situazione la Sardegna assume il doppio ruolo di complice e vittima delle politiche NATO. Queste non sono altro che uno strumento per esercitare la propria egemonia ed influenza attraverso l’Atlantico e oltre. Con le basi militari, gli USA introducono una cultura di guerra, di dominio e di violenza. Ovunque avvengono crimini contro la salute, l’ambiente e di atro genere. La cosa più grave è che raramente i responsabili subiscono un processo perché vige il principio dell’extraterritorialità. Questo significa che gli americani possono essere processati solo in America e che l’Italia, di fatto, non può intervenire contro i loro crimini. Il potere attribuito agli USA è enorme, basta sapere che non sono tenuti a precisare né l’ubicazione della base né le attività che si svolgono all’interno. Da tutto ciò consegue una palese violazione degli articoli 80 e 87 della Costituzione che prevedono la sovranità del popolo italiano su tutto il territorio nazionale.
Oltre ai problemi di sovranità territoriale e di inquinamento ambientale bisogna sottolineare i numerosi problemi legati alla salute che le attività militari hanno creato in questi anni. Ad esempio, a Quirra, 20 persone sono morte di leucemia o tumori emolinfatici e 10 persone che avevano lavorato nella base sono morte di cancro. A Escalaplano, un paesino di 2600 abitanti, a nord del poligono, 14 bambini sono nati con gravissime malformazioni genetiche e patologie rarissime.
Oltretutto, i militari americani non riferiscono i particolari delle loro esercitazioni, e si sospetta l’uso di proiettili all’uranio impoverito.

Io credo che ogni base militare rappresenti un pericolo per la vita e il benessere delle popolazioni, e che i militari americani siano posti al di sopra delle leggi del paese che li ospita..
La Sardegna ha il doveroso compito di usufruire concretamente della propria autonomia e di gestire la propria terra in base alle esigenze del suo popolo. E’ necessario aggregare le lotte frammentate per scrollarsi del pesante fardello NATO ed esprimere con chiarezza e convinzione la NOSTRA VOCAZIONE DI ISOLA DI PACE E AMICIZIA TRA I POPOLI.

Michele Piras


NB: siete e tutt* invitat* ad avviare un percorso di informazione, studio e mobilitazione per la liberazione della Sardegna dalle basi militari. L’obbiettivo è di concludere, al più presto, questa campagna con una grande manifestazione regionale contro le servitù militari.
Vi invitiamo a promuovere tempestivamente ogni genere di iniziativa che possa contribuire a questa lotta: assemblee cittadine, nelle scuole, nei luoghi di lavoro,nelle strade, volantinaggi, concerti ecc…
Per info: 3201638121 / 3299413822 / 3297892577 / 3397296237

Info: nobasi@tiscali.it

Movimenti, Attualità, Aprile 2007, pag. 3


Le contraddizioni cagliaritane

La povertà nelle grandi città è un qualcosa di tangibile, un qualcosa che l’occhio non può sopportare, un qualcosa che ferisce il nostro essere “uomini”. Quando arrivai a Cagliari per cominciare gli studi universitari, avevo soltanto un’idea confusa di cosa mai fosse la povertà. Questo perché nel paese il povero, pur vivendo in una condizione di miseria, vive entro una peculiare rete di rapporti umani e sociali che gli permettono di vivere in un margine di sussistenza e dignità. Nel paese non si è mai soli, c’è sempre un amico o un parente su cui contare… Col tempo imparai che nelle città ciò non esiste, e il povero troppo spesso oltre ad essere povero, è anche solo ed emarginato.
Cagliari è una città in cui il moderno convive con l’antico, in cui le Torri Pisane e le possenti Chiese medievali s’elevano tra le moderne realizzazioni dell’arte contemporanea. Cagliari, tuttavia, è anche una città divisa da impalpabili ed insormontabili barriere di sartriana memoria: impalpabili perché non si possono né toccare, né vedere, insormontabili perché sei profondamente cosciente di quanto la loro presenza vada oltre lo stesso astratto concetto del tempo.
Queste barriere dividono la città in quartieri poveri e in quartieri ricchi, in quartieri dove il lusso oltre che condizione si trasforma anche in status simbol. Altri quartieri hanno invece un ben latro status: quello della sussistenza, quello della lotta primordiale contro il bisogno materiale. Una lotta che ha soltanto un obbiettivo: quello del raggiungimento di una legittima soglia di sussistenza. Dico legittima non a caso, perché l’articolo terzo della nostra Costituzione parla chiaro: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua e di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.”
Passeggiando per le vie cagliaritane, sembra che questa Repubblica, così brava nelle dichiarazioni di principio, non abbia poi fatto molto. Te ne accorgi dinanzi ai grandi palazzoni alveare, in cui famiglie numerose sono stipate in miseri appartamenti, e i giovani disoccupati tirano a campare con espedienti di ogni genere. Te ne accorgi parlando con gli anziani e gli invalidi, che lamentano la mancanza di una qualsiasi forma d’assistenza. Te ne accorgi in Viale Elmas, quando nella semioscurità scorgi le immigrate che vendono il proprio corpo per pochi euro. Lo percepisci in quei quartieri dove non esistono servizi, e neanche un supermercato. In quei momenti, sentendo quelle parole, o vedendo quegli spettacoli di miseria e desolazione, ti chiedi: dov’è questa Repubblica che si riempie la bocca di così belle parole?
Nessuno potrà affermare che nella nostra società non esistano disuguaglianze sociali, e nessuno non può neanche lontanamente immaginare che queste non si perpetueranno nel tempo. Perché nascere a S. Michele non è come nascere in Via Sonnino, e tutti sappiamo che un ragazzo che nasce in due realtà così diverse avrà un vissuto differente, oltre che un probabile (anche se non scontato) destino.
Se la nostra Repubblica non fa molto per attenuare la disparità di condizioni tra questi due ragazzi, non si può dire che l’amministrazione cagliaritana faccia di meglio. I soldi per il lavoro sono spesi per ripavimentare le piazzette, oppure per appaltare delle assurde opere pubbliche che andranno come consuetudine a rifocillare l’amico dell’amico. A ciò si aggiunge la mancanza di lavoro frutto di queste scelte drammaticamente sbagliate, mancanza di lavoro che sommata alla precarietà di questi tempi crea disagio, disperazione, rabbia cieca e frustrazione. Con questi presupposti, la situazione di disagio creata dalla miseria può trovare come aberrante conseguenza la violenza fine a se stessa. Gli episodi di teppismo accaduti nei quartieri cagliaritani, in questo senso, sono del tutto simili a quelli delle Banlieu parigine, consapevoli delle dovute dimensioni. Il disagio, quando non trova delle risposte, si trasforma in risposta brutale, senza neanche lo spiraglio ideologico della rivendicazione sociale.
Se non si vuole che la situazione degeneri, le istituzioni devono trovare una concreta risposta alle tante difficoltà presenti nel tessuto sociale. In primo luogo è indispensabile dare un lavoro alle persone, perché come ci ha insegnato il buon Carlo Marx, il lavoro è il mezzo che contribuisce alla realizzazione della persona. In secondo luogo, devono essere migliorate le condizioni di vivibilità dei quartieri disagiati, perché l’ambiente in cui viviamo influisce pesantemente sul nostro modo di vivere e di pensare. Al bando le colate di cemento e d’asfalto, al bando i grandi palazzoni alveare, al bando l’asfalto che inghiotte la cultura e il poco verde rimasto. I quartieri come Is Mirrionis hanno bisogno di luoghi in cui si sviluppi l’integrazione sociale, come i centri sociali organizzati non per foraggiare le cooperative, ma per dare alla cittadinanza momenti d’aggregazione.
In terzo luogo, sono necessari degli ammortizzatori che ci riscattino dall’incubo della povertà. Per ammortizzatori intendo dei salari sociali che garantiscano una dignitosa soglia di sussistenza, che scongiurino lo sfruttamento, che scaccino finalmente la paura del futuro e della miseria.
Questi ovviamente sono soltanto dei possibili correttivi, delle misure amministrative per attutire il disagio. Un intervento strutturale dovrà tuttavia essere fatto anche sui sistemi d’informazione, sulla cultura e sugli stessi istituti educativi. Devono essere definitivamente cancellati gli esempi paventati in questi anni: il lusso da esibire a tutti i costi, i modelli inarrivabili, il rifiuto del diverso… In definiva, è indispensabile un intervento congiunto degli operatori sociali, dei movimenti e delle istituzioni per esorcizzare i pericolosi effetti del disagio sociale. E’ giunto il momento di dare attuazione al famoso articolo 3 della Costituzione.

Vincenzo M. D’Ascanio

Movimenti, Attualità, Aprile 2007, pag. 4


Teulada: ricordando l’arrivo dei militari.

Per arrivare a Teulada si devono percorrere una lunga serie di curve e improvvisamente, una volta arrivati alla sommità della collina, finalmente si vede il paese circondato dal verde e dalle colline. Si, anche da lassù si può notare come il territorio di Teulada sia in realtà un bel territorio, immerso nel verde, e con delle bellissime spiagge a pochi chilometri di distanza. Perché la spiaggia di Teulada è Porto Tramatzu, una delle più belle spiagge dell’intera isola. Si, proprio un bel paesaggio, peccato che proprio a Teulada sorga una delle più importanti basi militari di tutta la nazione, in cui soldati di svariate nazionalità arrivano da tutto il mondo per compiere le loro ordinarie esercitazioni di guerra.
Trascorsi un pomeriggio proprio a Teulada, nel grande salone padronale che si trova nella piazza più importante del paese. Un’associazione aveva organizzato un incontro, affinché gli anziani teuladini potessero raccontare come avevano vissuto l’arrivo dei militari nel loro territorio. Questo era un aspetto che soltanto raramente avevo considerato nel mio “NO” alle servitù militari: il mio rifiuto, come quello di tanti altri, era un rifiuto “ideologico”, legato alla logica capital – imperialista di spartizione delle zone d’influenza. Dopo aver sentito quegli uomini parlare, la mia visione delle servitù militari si è arricchita di altri elementi.
Le storie raccontate sono state tante, ma alcune m’hanno colpito più delle altre. Una signora sugli ottant’anni ha descritto il giorno in cui dissero alla sua famiglia che dovevano andarsene dalla loro terra, perché là dovevano installare la base militare. La signora, piangendo, ricordò che aveva perso il suo terreno, il suo bestiame, e la sua casa per via dell’occupazione. L’indennità per l’esproprio giunse dopo sei anni, e nel frattempo tutti i suoi sette fratelli furono costretti ad emigrare, per cercare un lavoro. Una costante di queste storie è proprio la necessità dell’emigrazione, a cui tanti teuladini sono stati costretti dopo l’occupazione. In molti hanno parlato del dispiacere provato dall’andarsene dalla propria terra, e della nostalgia che provavano nel vivere in terre a loro straniere. L’economia del territorio era fortemente basata sull’agricoltura e sull’allevamento del bestiame, e per chi si è visto portare via ogni cosa non è rimasto altro da fare che salutare i propri cari, e partire.
Una storia, in particolare, posso dire che mi ha colpito più delle altre. Un signore sugli ottant’anni ha parlato di quando arrivarono i militari per espropriargli terreno e casa. Lui era andato al lavoro la mattina presto e la sera, quando ritornò, vide che dinanzi a casa sua c’era un grande camion militare che attendeva. Una volta entrato nella casa, vide la madre che tratteneva il padre, dicendogli in dialetto: “Pensa ai tuoi figli, pensa ai tuoi figli”. Io ho immaginato che l’uomo stesse andando a prendere il fucile, per puntarlo verso chi gli voleva portare via i pochi beni che aveva. Dopo l’esproprio tutta la famiglia fu costretta ad


abbandonare la terra, il bestiame fu venduto a un prezzo basissimo (non c’era nessuno che intendeva comperare) e dato che non c’era lo straccio d’un lavoro, quel signore decise d’imbarcarsi, per fare il mestiere del marinaio. “Ho girato tutto il mondo con quelle navi, il mio cuore però era sempre a Teulada, nel terreno che mi hanno portato via.. Quando ne ho avuto la possibilità, sono ritornato, e ho comprato un pezzo di terra proprio dove finisce la servitù militare.”
Il signore cominciò a piangere forse pensando a quei giorni lontani, quando sulla nave pensava a tutto ciò che aveva lasciato per un destino che non aveva scelto.
“Adesso ogni tanto ritorno e ci pianto qualcosa così, a “sfregio”, anche se so che non serve a niente. E quando lo faccio guardo dall’altra parte della rete, e ripenso alla mia famiglia, quando tutti insieme vivevamo felici sul nostro terreno…”
Negli altri interventi si parlò degli accordi che l’amministrazione paesana firmò “al buio”, cioè senza consultare in alcun modo i cittadini. Durante l’intervento di quei signori, che raccontavano storie di disperazione e miseria, in tanti avevano gli occhi lucidi, e alcuni piangevano. Quelle lacrime avevano un motivo, tutti comprendevamo l’ingiustizia, e tutti la sentivano sulla propria pelle. S’avvertiva chiaramente la profondità del “grande salto”, e di come avessero ragione i Modena City Ramblers quando cantavano “è sempre la stessa storia, da una parte la gente, e dall’altra il potere”.

Vincenzo M. D’Ascanio

Movimenti, Politica regionale, Aprile 2007, Pag. 5



Finanziaria 2007, Riduce il consumo energetico

“L’avranno mica scritta a penna e con le luci spente?”
Non è dato saperlo, però è certo che non è in questo modo che la manovra ridurrà i consumi di energia.
È un fatto però che gli indirizzi presi dall’ultima finanziaria nazionale in materia di risparmio energetico segnano un decisivo passo verso il raggiungimento di obiettivi che altri paesi europei, la Germania per citarne uno, hanno superato da tempo.
Sono infatti previste una serie di misure atte ad esempio ad incentivare ristrutturazioni di vecchi edifici ad elevato consumo con materiali e innovazioni tecnologiche che permetteranno in alcuni casi addirittura di dimezzare i consumi.
Sono state quindi innalzate dal 36 al 55 percento le percentuali di detrazione fiscale in tre anni per la riqualificazione energetica degli edifici, con installazioni di pannelli solari termici, con interventi nella modernizzazione degli impianti di riscaldamento, nella ristrutturazione di pareti poco coibentate e con la sostituzione degli infissi ad alta dispersione con altri realizzati con materiali moderni e isolanti.
Incentivi sono previsti anche per chi sostituirà la vecchia caldaia con caldaie a condensazione.
Al fine di favorire la costruzione di nuovi edifici di medie e grandi dimensioni (volumetria superiore a 10.000 m3), con un fabbisogno energetico minore del 50 percento di quanto dispone l’attuale normativa, è previsto un contributo pari al 55 percento degli extra costi sostenuti per conseguire tale obiettivo.
Ottimo indirizzo, ma sarebbe stato auspicabile non limitate gli incentivi agli edifici di diecimila m3, ma estenderli a tutte le nuove costruzioni, anche quelle più piccole e a uso abitativo.
Godranno di agevolazioni fiscali anche i commercianti che sceglieranno le lampade a basso consumo.
Sono infatti previste misure di deduzione fiscale del 36 percento per i commercianti che sostituiranno gli apparecchi di illuminazione con sistemi ad alta efficienza energetica negli esercizi commerciali. In sostanza, chi sceglierà lampade fluorescenti negli ambienti interni e lampade a vapore di sodio in quelli esterni beneficerà dell’agevolazione. Altri contributi sono destinati all’acquisto di frigoriferi ad alta efficienza energetica e per l’installazione di motori industriali ad alta efficienza e a velocità variabile.
Un'altra misura riguarda la riduzione dell’accisa del GPL e incentivi all’impiego di autoveicoli a GPL e metano, per trasformare autovetture a gas metano o GPL e per l’acquisto di autoveicoli a metano e/o GPL.Finalmente si parla anche di biocarburanti. Viene infatti allineata la legislazione italiana sui biocarburanti alla Direttiva Europea 2003/30/CE sugli obiettivi di miscelazione obbligatoria dei biocarburanti nei carburanti petroliferi, secondo una percentuale progressiva: 1 percento al 2005; 2,5 percento al 2008; 5,75 percento al 2010. Altri interventi riguardano la fiscalità energetica.
Il maggior gettito fiscale IVA derivante da carburanti e combustibili di origine petrolifera, in relazione agli aumenti del prezzo internazionale del greggio, va a costituire un apposito fondo di 50 milioni di € per il triennio 2007-08-09 da utilizzare a copertura di interventi di riduzione dei costi della fornitura energetica per le fasce sociali che più risentono del peso del caro energia. Infine si potrà usufruire dell’Iva agevolata per forniture di energia “ecologica”. La fornitura di energia termica per uso domestico tramite reti pubbliche di teleriscaldamento o nell’ambito del contratto servizio energia prevede l’Iva agevolata solo se prodotta da fonti rinnovabili o da impianti di cogenerazione ad alto rendimento, mentre alle forniture di energia da altre fonti, sotto qualsiasi forma, si applica l’aliquota ordinaria.
Tutte queste misure segnano un importante passo di civiltà per il nostro paese che si trova probabilmente addirittura impreparato sotto molti aspetti ad applicare queste misure.
È infatti fondamentale la formazione di personale specializzato e capace non solo di progettare edifici ad alta efficienza , ma è anche necessario trovare installatori, costruttori capaci anche di consigliare agli utenti quali materiali utilizzare e a chi si devono rivolgere per ottenere gli incentivi.
Una vera e propria fonte di approvvigionamento di nuove professionalità e sbocchi occupazionali.
Si è finalmente compreso quanto sia utile consapevolizzare il cittadino ad un consumo più cosciente di una risorsa che non è affatto eterna.

Moreno Pilloni

Movimenti, Attualità, Aprile 2007, pag. 6


Riflessioni sui Dico


Nonostante l’Italia sia nel fanalino di coda in materia di diritti civili, i “DICO” continuano a non soddisfare le richieste del trattato comunitario che obbliga i paesi membri di legiferare in materia di convivenze civili e coppie di fatto. L’indignazione del movimento LGBTQ, in quanto i dico non garantiscono eguali diritti ad eguali doveri( che si acquistano solo dopo 9 anni di convivenza, nonostante il ddl garantisca effetto retroattivo), ci ritroviamo ben lontano dai “PACS”, dove le coppie conviventi hanno gli stessi diritti e doveri dei coniugi. In materia di diritti civili la Costituzione italiana sancisce nell’art 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Noi tutti/e abbiamo il dovere e il diritto di superare tutte le pratiche omofoniche che condizionano la politica italiana, denunciando la mancanza di Laicità da parte di alcuni politici che prediligono ascoltare le “raccomandazioni” del Cardinal Ruini, piuttosto che ciò che il paese reale chiede. Le ottantamila persone presenti il piazza Farnese sabato 10 Marzo, rappresentano il paese reale, l’ideale che si confronta con la realtà del nostro paese. Partire dai Dico per poi ampliare e modificare un DDL scritto senza tener conto della reale condizione del nostro paese, dove la Chiesa è ancora troppo presente nella politica italiana. Non dobbiamo nasconderci dietro un “anche dello stesso sesso” perché l’omosessualità non è una malattia, ne una devianza, come sostiene la Binetti. Che l'omosessualità NON FOSSE una malattia era già stato affermato da Freud e poi nel "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali"(1973).Concludendo, l'omosessualità c'è, NON è una malattia, ( e quindi non può e non deve essere catalogata come tale solo per far felice gli omofobi, e coloro che aprono la bocca senza informarsi, che si esprimono solo per sentito dire), NON si può curare(anche se molti sono convinti di si, la maggior parte di loro fanno parte della comunità ecclesiastica). Infine lasciamo che ognuno viva LIBERAMENTE, con ENTUSIASMO, SERENITA' i propri sentimenti, che siano etero o che siano omosessuale nel rispetto degli altri. Che i Dico siano il punto di partenza e di discussione dell’integrazione sociale e del superamento di tutte quelle forme di Omofobia presenti nella nostra società.

Simona Deidda

Movimenti, Attualità, Aprile 2007, pag. 6



Legge di iniziativa popolare per la sovranità alimentare

Il 27 di Marzo, nella Sala delle Bandiere del Parlamento Europeo a Roma, sono state presentate le linee guida di una proposta di legge di iniziativa popolare per la sovranità alimentare.
La proposta è avanzata dai movimenti contadini che in questi anni si sono impegnati con pratiche e mobilitazioni a cercare la strada di un’altra agricoltura possibile, e che oggi prendono spunto dall’idea di una Sovranità Alimentare, avanzata dai movimenti internazionali detti “di Via Campesina”.
Si tratta di una legge di iniziativa popolare che impegna le istituzioni ad assumere principi di indirizzo e strumenti concreti per promuovere il diritto dei contadini ad avere una giusta remunerazione per il loro lavoro, quello dei cittadini ad un cibo sano con particolare attenzione rivolta alla tutela dell’ambiente.
Le iniziative portate avanti in questi anni puntano alla realizzazione di spazi di coinvolgimento fra cittadini, contadini e istituzioni sia nazionali che territoriali per assumere gli orientamenti e le scelte sulla base delle istanze di partecipazione democratica che avanzano dalla società e che garantiscono il diritto effettivo delle comunità di scegliere il proprio modello di produzione, distribuzione e consumo del cibo.
Sarà nel Comitato Promotore e nei territori che si svilupperà il confronto con quanti condivideranno lo sforzo per scrivere il testo definitivo della legge che sarà presentata nelle sedi istituzionali e su cui nei prossimi mesi si avvierà la campagna per la raccolta delle centinaia di migliaia di firme necessarie.
Il movimento si è sviluppato da subito anche anche in Sardegna.
Il movimento Altragricoltura, ospite dell’Assessorato Ambiente e Difesa del Territorio della Provincia di Cagliari, ha tenuto il 23 di marzo una Conferenza Stampa per promuovere l’ iniziativa popolare.
“Una norma di questo genere”, sostiene l’Assessore provinciale all’Ambiente Rosaria Congiu, “verrebbe incontro alla soluzione delle problematiche dell’agricoltura sarda (ciclo corto, costo eccessivo dell’acqua, grande distribuzione), basata finora più che altro su aiuti e risarcimenti senza un vero e proprio progetto di agricoltura che valorizzi i nostri prodotti e professionalità e che non impoverisca l’ambiente”
sopravvivenza di decine di migliaia di aziende agricole e allevatrici italiane è a rischio e, con loro, sono a rischio la tenuta ambientale, sociale ed economica di intere aree del nostro Paese, centinaia di migliaia di posti di lavoro, la qualità del cibo per i nostri cittadini ed un intero sistema produttivo che si è determinato in millenni di produzione culturale, cura del territorio, e relazioni umane e sociali. In 40 anni sono stati circa sette milioni gli ettari di superficie abbandonati dall’attività agricola, oltre un terzo della superficie complessiva attuale; in montagna sono stati 1,3 milioni gli ettari abbandonati, il 42% della superficie attualmente coltivata in queste zone. Un trend che ha avuto una accelerazione negli ultimi 10 anni, nel corso dei quali solo in montagna sono stati abbandonati circa 540.000 ettari di superficie e oltre 160000 sono le aziende agricole che hanno abbandonato l’attività, sempre più spesso per effetto di prezzi alla produzione che scendono ormai costantemente sempre sotto i costi produttivi minimi mentre i prezzi al consumo aumentano irresponsabilmente. Entro il 2012 è fondato il rischio di perdere il 40% delle nostre aziende.

Moreno Pilloni

Movimenti, Politica, Aprile 2007, Pagina 7


IV Congresso regionale del partito dei Democratici di sinistra-Sinistra federalista sarda
Cagliari, 14 e 15 aprile 2007


Dopo una mattinata densa d’interventi s’è chiusa, poco dopo le 14.00, la parte del IV congresso dei Democratici di Sinistra- Sinistra federalista sarda dedicata al dibattito. In totale hanno preso parte alla discussione 41 partecipanti, cui s’aggiungono l’intervento finale del deputato Antonello Cabras e quelli dei numerosi ospiti della due giorni d’assise.
Tra gli interventi di questa mattina, quello del presidente regionale dell’Associazione dei comuni italiani, Tore Cherchi, che ha richiamato la lezione di Umberto Cardia e la sua idea di federalismo, <>, un nuovo soggetto politico che <>.

Il partito democratico è stato al centro anche dell’intervento di Renato Cugini (mozione Angius): <>.

Dopo l’intervento di Marco Muscas, segretario Ds nella provincia del Medio Campidano, secondo cui il Partito democratico <>, è stata la volta del presidente del Consiglio regionale Giacomo Spissu che s’è rivolto <>. Riferendosi poi alle parole di ieri del capogruppo di Progetto Sardegna in Consiglio regionale, Chicco Porcu, Spissu ha affermato: <>. In questo senso, Spissu ha raccolto l’invito fatto ieri dal coordinatore regionale della Margherita, Paolo Fadda, dichiarandosi d’accordo con l’idea di convocare a breve degli stati generali tra Margherita e Ds- Sfs. Nel suo intervento il presidente del Consiglio regionale ha parlato anche dei rapporti con le organizzazioni sindacali e quelle civili: <>.
Dopo l’intervento della consigliera regionale Angela Corrias (<<è tempo d’incontrare nuovi riformismi e nuove culture>>, ha osservato riferendosi al partito democratico), anche il deputato Emanuele Sanna ha parlato di Partito democratico che in Sardegna dovrà <> e dovrà essere <>.
Di unità nella coalizione e nel partito democratico ha parlato invece il presidente della Regione, Renato Soru, riallacciandosi così ai temi toccati ieri dal segretario regionale del partito, Giulio Calvisi: <>. Compiti da svolgere tutti insieme <>. Quanto al confronto con le parti sociali, per il Presidente della Regione s’è chiesto: <>. Uno sforzo in più Soru l’ha chiesto anche per il Partito democratico: <>.

Al dibattito ha partecipato anche il leader regionale della Cgil, Giampaolo Diana, chiedendo al partito un maggiore interesse verso i temi del lavoro. Infine, dopo l’intervento del consigliere regionale Pirisi, la chiusura dei lavori, con l’intervento del deputato Antonello Cabras che dopo aver ripercorso i successi dell’attuale Giunta regionale ha parlato dei problemi degli ultimi giorni: <>. E ha aggiunto. <>. Sul Partito democratico, dopo aver ribadito la necessità di un confronto aperto con la Margherita, Cabras ha detto: <>.

Sabrina Zedda

Movimenti, Diritti Civili, Aprile 2007, pagina 8



Basta carceri!
Riflessioni su Indulto e Amnistia

L’indulto approvato a fine luglio è stato un atto di giustizia sostanziale, le ragioni della politica, dobbiamo ammettere davvero misere, lo hanno trascinato per lunghissimi anni in dibattiti altrettanto miseri. Lasciando nel frattempo le gabbie strapiene di esseri umani, poveri, ridotti al rango di bestie, donne e uomini umiliati nell’era dello smantellamento dello stato sociale.
La questione dell’esecuzione penale e della giustizia in Europa deve essere prima di tutto una questione culturale, perché se il carcere esiste, esso esiste in quanto raccoglitore di disagi diversi, disagi tutti caratterizzati dalla volontà di escludere, segregare, contenere e nascondere gli scarti sociali che la nostra società esprime. Leggendo i dati del DAP degli ultimi venti anni, difficilmente riusciamo a vedere il carcere come la soluzione alle illegalità e alle criminalità. Chiunque legga questi dati, dai numeri alla composizione sociale, rimarrà sorpreso nel notare che è più facile individuare dentro le percentuali gli stranieri, prostitute, tossicodipendenti, meridionali, insomma i cosiddetti “ladri di polli” che per la loro condizione perdono qualsiasi contatto con la società, o peggio, con la parte più produttiva e consumistica della società.
Chiunque abbia avuto a che fare con le gabbie, magari da un parente, o perché semplicemente ci lavora o fa del volontariato, sa che gli ultimi anni sono stati particolarmente devastanti dal punto di vista dell’aggravamento delle condizioni di vita e di lavoro, di mancato rispetto dei diritti civili e umani, e di peggioramento complessivo del sistema della giustizia penitenziaria.
Se parliamo di sanità in carcere, non possiamo non parlare del massacro sanitario partito prima del 2004, e cresciuto fino all’indulto:
7,5 % detenuti positivi al test per l’HIV 38 % detenuti positivi ai test per l’epatite C. 48 % detenuti positivi a quello per l’epatite B. 7 % detenuti che presentano l’infezione in atto. 18 % risulta positivo al test della TBC.
La visione culturale della Sinistra, del mondo laico, non dovrebbe essere certo quella del braccialetto elettronico e della tolleranza zero, visioni della giustizia ancora vive dal primo governo Prodi. Al contrario l’indulto ci ha costretto tutti a misurarci con i sentimenti più profondi di odio sociale e di vendetta. I diritti umani sono incancellabili, insostituibili e indivisibili, e fra tutti i diritti, i primi che gli stati dovrebbero rispettare sono il diritto alla vita e all’integrità personale.
MovimentiIl rischio dell’estinzione dei diritti umani lo leggiamo nei pestaggi, nelle vessazioni psicologiche, nelle violenze e nelle umiliazioni reiterate all’interno di carceri sovraffollate con detenuti costretti a vivere in condizioni igieniche critiche, così viene descritto i sistema penitenziario italiano nel rapporto “Dentro ogni carcere” realizzato dall’Osservatorio di Antigone tra 208 istituti di pena in Italia. Le carceri dopo l’indulto si sono svuotate, ma dentro le sbarre si continua a morire, dal 1 gennaio 2006 al 31 luglio 2006, nelle gabbie italiane si sono uccisi 4 detenuti al mese, e 3 negli ultimi 5 mesi. Comunque troppe e preoccupanti, nonostante le riduzioni e l’esodo provocato dall’indulto. I dati elaborati dall’associazione “Orizzonti Ristretti” con il dossier “morire di carcere” parlano chiaro:
Mese di Aprile 2007 Perché libertà è partecipazione!dietro le sbarre i detenuti continuano ad uccidersi, nel 2006 sono stati 42 i carcerati che hanno deciso di farla finita, impiccandosi o soffocandosi in buste di nylon.
Proprio perché il nostro impianto costituzionale è incentrato sul principio di legalità ed eguaglianza, con la bestiale contraddizione dell’assenza di diritti dentro il carcere, allora è necessario un nuovo provvedimento di clemenza, che deve però essere accompagnato dalla diffusione e dal potenziamento delle misure alternative alla detenzione.
Foto della manifestazione antimperialista a Capo FrascaUn Amnistia, che contenga il reinserimento sociale dei detenuti al termine della pena, che contenga il sostegno alle famiglie dei detenuti, alle donne detenute, alle madri – detenute e ai loro “figli reclusi”. Se nella dimensione legislativa riusciremo a costruire un rapporto diverso tra il reato e la pena, sono convinto si possa arrivare all’Amnistia, ma, contemporaneamente sarà necessaria la costruzione di un pensiero più moderno nella visione della giustizia in Italia, un pensiero che non tenga conto delle voci che provengono dagli stomaci delle società. Una visione di giustizia consapevole che le prigioni sono un invenzione del medioevo, e che l’uomo moderno debba individuarne il superamento. Non si tratta di liberarci delle carceri intese in quanto strutture, ma di liberarci e superare l’idea di carcere.

Roberto Loddo
Comitato “5 Novembre” Per i Diritti Civili