domenica 10 febbraio 2008

Si faccia luce sulla morte di Aldo Scardella!


Quest’Estate la Corte di Cassazione ha stabilito che devono proseguire le indagini sulla morte di Aldo Scardella, trovato morto nella sua cella di Buoncammino il 2 Luglio di 21 anni fa. Scardella, studente universitario, fu accusato ingiustamente d’aver partecipato a una rapina avvenuta nel 1985, che costò la vita al proprietario dell’esercizio commerciale. I veri responsabili dell’accaduto furono arrestati nel 1996, e il nome di Aldo Scardella fu definitivamente riabilitato.
Nonostante ciò, quella riabilitazione non potrà cancellare ciò che avvenne, e soprattutto non servirà a riportare in vita Aldo, impiccatosi nella sua misera cella di Buoncammino. Purtroppo i casi di suicidio in questo carcere sono numerosi, anche perché le strutture dello stesso non sono assolutamente adeguate. Buoncammino è un carcere vecchio, simbolo della volontà di uno Stato che alle rieducazione predilige di gran lunga la repressione, accompagnata dalla violazione costante dei diritti.
Si, perché la nostra Costituzione parla chiaro, sottolineando che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Il carcere è una struttura che allontana gli individui dalla società, li aliena, e provoca delle cicatrici che difficilmente potranno essere rimarginate: chi ha vissuto l’esperienza carceraria sulla propria pelle conosce bene le difficoltà del reinserimento. Inoltre, alla pena detentiva si aggiungono altre pene assolutamente illegittime, causate dalle privazioni materiali e morali a cui sono costretti i condannati. In condizioni di questo tipo, la soluzione estrema del suicidio può drammaticamente trasformarsi nell’unica e definitiva scappatoia a un tunnel di cui non si vede la luce.
Ciò che risulta essere ancora più aberrante, è che le carceri italiane sono delle carceri profondamente classiste. Lo Stato punisce l’anello più debole della catena sociale, poiché nella maggior parte dei casi le carceri sono popolate da tossicodipendenti, prostitute, ladri di galline e malati d’AIDS. Lo strumento del carcere funziona unicamente come deterrente, e chi vi dovrà scontare un errore ne uscirà traumatizzato, lacerato, solo. Quindi il carcere come difesa d’interessi puramente economici, carcere come colpa, carcere inteso come tortura per chi ha dovuto convivere col disagio materiale, morale e talvolta psichico.
La sentenza della Cassazione deve portarci a riflettere non soltanto sul caso di Aldo Scardella, ma sull’intero sistema carcerario italiano. Se continueranno a esistere carceri come quello di Buoncammino, se le persone saranno costrette a restare in cella attendendo il proprio processo, se non si studieranno delle nuove misure che siano alternative al carcere, allora lo Stato dovrà ammettere il proprio fallimento. Perché oggi pensare che il carcere sia uno strumento di rieducazione non soltanto è una menzogna, ma è una vera e propria disonestà intellettuale al servizio dell’inciviltà.

C. V.

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