giovedì 26 aprile 2007

Movimenti, Attualità, Aprile 2007, pag. 4


Teulada: ricordando l’arrivo dei militari.

Per arrivare a Teulada si devono percorrere una lunga serie di curve e improvvisamente, una volta arrivati alla sommità della collina, finalmente si vede il paese circondato dal verde e dalle colline. Si, anche da lassù si può notare come il territorio di Teulada sia in realtà un bel territorio, immerso nel verde, e con delle bellissime spiagge a pochi chilometri di distanza. Perché la spiaggia di Teulada è Porto Tramatzu, una delle più belle spiagge dell’intera isola. Si, proprio un bel paesaggio, peccato che proprio a Teulada sorga una delle più importanti basi militari di tutta la nazione, in cui soldati di svariate nazionalità arrivano da tutto il mondo per compiere le loro ordinarie esercitazioni di guerra.
Trascorsi un pomeriggio proprio a Teulada, nel grande salone padronale che si trova nella piazza più importante del paese. Un’associazione aveva organizzato un incontro, affinché gli anziani teuladini potessero raccontare come avevano vissuto l’arrivo dei militari nel loro territorio. Questo era un aspetto che soltanto raramente avevo considerato nel mio “NO” alle servitù militari: il mio rifiuto, come quello di tanti altri, era un rifiuto “ideologico”, legato alla logica capital – imperialista di spartizione delle zone d’influenza. Dopo aver sentito quegli uomini parlare, la mia visione delle servitù militari si è arricchita di altri elementi.
Le storie raccontate sono state tante, ma alcune m’hanno colpito più delle altre. Una signora sugli ottant’anni ha descritto il giorno in cui dissero alla sua famiglia che dovevano andarsene dalla loro terra, perché là dovevano installare la base militare. La signora, piangendo, ricordò che aveva perso il suo terreno, il suo bestiame, e la sua casa per via dell’occupazione. L’indennità per l’esproprio giunse dopo sei anni, e nel frattempo tutti i suoi sette fratelli furono costretti ad emigrare, per cercare un lavoro. Una costante di queste storie è proprio la necessità dell’emigrazione, a cui tanti teuladini sono stati costretti dopo l’occupazione. In molti hanno parlato del dispiacere provato dall’andarsene dalla propria terra, e della nostalgia che provavano nel vivere in terre a loro straniere. L’economia del territorio era fortemente basata sull’agricoltura e sull’allevamento del bestiame, e per chi si è visto portare via ogni cosa non è rimasto altro da fare che salutare i propri cari, e partire.
Una storia, in particolare, posso dire che mi ha colpito più delle altre. Un signore sugli ottant’anni ha parlato di quando arrivarono i militari per espropriargli terreno e casa. Lui era andato al lavoro la mattina presto e la sera, quando ritornò, vide che dinanzi a casa sua c’era un grande camion militare che attendeva. Una volta entrato nella casa, vide la madre che tratteneva il padre, dicendogli in dialetto: “Pensa ai tuoi figli, pensa ai tuoi figli”. Io ho immaginato che l’uomo stesse andando a prendere il fucile, per puntarlo verso chi gli voleva portare via i pochi beni che aveva. Dopo l’esproprio tutta la famiglia fu costretta ad


abbandonare la terra, il bestiame fu venduto a un prezzo basissimo (non c’era nessuno che intendeva comperare) e dato che non c’era lo straccio d’un lavoro, quel signore decise d’imbarcarsi, per fare il mestiere del marinaio. “Ho girato tutto il mondo con quelle navi, il mio cuore però era sempre a Teulada, nel terreno che mi hanno portato via.. Quando ne ho avuto la possibilità, sono ritornato, e ho comprato un pezzo di terra proprio dove finisce la servitù militare.”
Il signore cominciò a piangere forse pensando a quei giorni lontani, quando sulla nave pensava a tutto ciò che aveva lasciato per un destino che non aveva scelto.
“Adesso ogni tanto ritorno e ci pianto qualcosa così, a “sfregio”, anche se so che non serve a niente. E quando lo faccio guardo dall’altra parte della rete, e ripenso alla mia famiglia, quando tutti insieme vivevamo felici sul nostro terreno…”
Negli altri interventi si parlò degli accordi che l’amministrazione paesana firmò “al buio”, cioè senza consultare in alcun modo i cittadini. Durante l’intervento di quei signori, che raccontavano storie di disperazione e miseria, in tanti avevano gli occhi lucidi, e alcuni piangevano. Quelle lacrime avevano un motivo, tutti comprendevamo l’ingiustizia, e tutti la sentivano sulla propria pelle. S’avvertiva chiaramente la profondità del “grande salto”, e di come avessero ragione i Modena City Ramblers quando cantavano “è sempre la stessa storia, da una parte la gente, e dall’altra il potere”.

Vincenzo M. D’Ascanio

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